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11/10/2023

Storia e processo produttivo della pizza

 

La pizza ha origini antichissime infatti già al tempo dei popoli etruschi c’era un alimento simile per forma e aspetto alla pizza attuale. Il termine “pizza” deriverebbe dal termine “pinsa”, participio passato del verbo latino “pinsare”, che significa pestare, schiacciare. La voce è attestata prima dell'anno mille, come “pizza de pane”, quindi citata da autori cinquecenteschi come una focaccia che accompagnava carni e altre vivande. La pizza contemporanea nasce a Napoli, dove era ancora senza pomodoro, “bianca”, condita solo con aglio, strutto e sale grosso nella versione più economica, o con caciocavallo e basilico nella versione più ricca. Nel 1889 il cuoco napoletano Raffaele Esposito inventò la pizza Margherita (tricolore) in onore della regina Margherita di Savoia condita con pomodoro, mozzarella e basilico per onorare la regina e l'Italia. Fino al 1830, la pizza era venduta esclusivamente presso bancarelle ambulanti e da venditori di strada, successivamente nacquero le pizzerie. (Accademia Italiana di Gastronomia e Gastrosofia, 2020).

Gli ingredienti principali di questo alimento sono costituiti da farina di grano tenero “00” o “0”, lievito di birra, acqua naturale, sale e olio extravergine di oliva. Negli ultimi anni si è visto un uso sempre più crescente di farina "tipo 1", "tipo 2" e "integrale".
Le principali fasi del processo produttivo della pizza sono costituite da: impastamento, lievitazione, formatura e cottura in forno. Il metodo di lavorazione dei prodotti lievitati può essere diretto, semidiretto o indiretto. Nel metodo diretto sono miscelati, in un’unica fase, tutti gli ingredienti fino alla formazione di un impasto omogeneo; nel metodo semidiretto, la miscelazione degli ingredienti, sempre in un’unica fase, avviene adoperando come lievito la pasta di riporto o “madre” (un pezzo dell’impasto avanzato dalla lavorazione precedente) al posto del lievito industriale. Il metodo indiretto, infine, prevede la preparazione di un pre-impasto con farina acqua e lievito industriale, che viene lasciato fermentare prima di essere aggiunto agli altri elementi. A seconda della percentuale di umidità può essere chiamato “biga” (bassa idratazione) o “poolish” (alta idratazione). La fase di lievitazione prevede lo stoccaggio dell’impasto in condizioni di umidità e temperature controllate al fine di favorire un processo metabolico noto come fermentazione alcolica, che comporta la trasformazione di zuccheri semplici in alcool e anidride carbonica (CO2), operata dai lieviti del genere Saccharomyces cerevisiae o lievito di birra, moltiplicati durante la fase d’impastamento grazie all’inglobamento di aria nell’impasto.

La lievitazione avviene in due momenti: subito dopo l’impastamento e prima della formatura. La prima fase è denominata “puntata” ed è eseguita in tempi variabili da 30 minuti a 3 ore: ha come obiettivo quello di ottenere un impasto più estensibile. La seconda fase è detta “appretto”, ha lo scopo di produrre un ulteriore quantitativo di anidride carbonica che deve compensare quella persa durante le manipolazioni condotte durante l’operazione di formatura. La temperatura di lievitazione non deve superare i 27 – 30 °C, mentre l’umidità relativa dell’aria, non deve scendere sotto il 75-80%. (Quaglia, 1984).

Terminato l’appretto, si procede con la fase di stesura del panetto, che consiste nell’aprire manualmente il disco di pasta su semola rimacinata. Successivamente si passa alla farcitura e infine alla cottura, fase finale della realizzazione di questo prodotto, che comporta una serie di modificazioni chimiche, fisiche e biochimiche, che lo rendono commestibile e dalle eccellenti caratteristiche sensoriali e nutritive.


Dr. Lorenzo Minervini

 

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